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venerdì 29 gennaio 2010

La Preghiera del Padre Nostro.


RIFLESSIONE SULLA PREGHIERA DEL “PADRE NOSTRO”
Benevento 18 giugno ’09
Relatore fr. Luciano M. Pugliese


In questo incontro tratteremo la preghiere del “Padre nostro”, che è l’unica preghiera che ha insegnato Gesù ai suoi discepoli, e una preghiera semplice nel dirla, ma difficile nel suo contesto, intensa e ricca nel suo insegnamento; è la preghiera che ci unisce in un vincolo d’amore verso il Padre.
Ecco come viene classificata da alcuni grandi santi e dottori della Chiesa, è “la sintesi di tutto il Vangelo” ci dice Tertuliano; è “la preghiera perfettisima” afferma san Tommaso d’Aquino, sant’Agostino invece ci dice che “la preghiera è una ginnastica del desiderio”, la preghiera del Pater e posto al centro del discorso della montagna.
Ma cerchiamo di capirla passo dopo passo.
“PADRE”: In aramaico si dice “Abbà”. Sappiamo che è il grido dello Spirito, che Dio ha mandato nei nostri cuori che è la prova, che, non solo siamo chiamati per nome, Dio ci chiama e ci conosce uno per uno, ma che siamo realmente figli.
Abbà che non significa padre ma papà, che come sappiamo e un termine affettuoso e famigliare, sono le prime parole che un bimbo dice, che apre il cuore e lo fa sciogliere in lacrime, il neo papà che si sente chiamare papà dal proprio figlio.
“NOSTRO”: Perché diciamo nostro e non mio? Perché il padre di Gesù che chiama padre Dio e attraverso di lui ed in lui che ci rende uniti a Dio essendo fratelli di un unico Padre e così diventa nostro, la paternità di Dio fonda la fraternità, il “nostro” esprime una relazione totalmente nuova con Dio, e ci apre all’universalità, il “mio” sembrerebbe un atto di egoismo, che poi in intimità nella preghiera del cuore lo chiamo Padre mio stammi vicino e diverso, perciò quando dice Gesù quando pregate dite “Padre nostro” perché ci rende uniti. Infatti diciamo “nostro” perché la chiesa di Cristo è una moltitudine di fratelli che hanno “un cuor solo e un’anima sola”.
Qua possiamo pensare a quando Gesù dice “Ama il tuo prossimo come te stesso”, o “Amatevi gli uni gli altri con
amare fraterno”, con la carità perfetta, che è vincolo di perfezione.
“CHE SEI NEI CIELI”: Perché non che “sei” nel cielo? Questa espressione biblica non indica un luogo, ma un modo di essere, Dio è al di là e al di sopra di tutto; E una formula che a prima vista sembra allontanarci dal Padre, ma, in realtà è una formula che gli ebrei indicano la presenza di Dio dall’alto che si prende cura di tutto il mondo, ci guarda e ci osserva dall’alto, il cielo poi designa la vera casa, la vera patria del padre, noi viviamo già in essa nascosti in Cristo in Dio.
“SIA SANTIFICATO IL TUO NOME”: Glorificare il suo nome è il riconoscerlo come Dio onnipotente e glorificarlo, dargli ogni lode, e il riconoscerlo come santo, è la santità del suo nome è riconosciuta da noi suoi figli quando noi diverremo “perfetti come e perfetto il Padre”. Come lo santifichiamo il nome di Dio? Con la nostra vita, le nostre azioni, il nostro amare l’altro come fratello ed il nostro operare che si completa nei suoi sacramenti che ci ha lasciati attraverso il sacrificio del Figlio sulla croce, se tutti lo riconoscerebbero come egli è si sta realizzando il Regno.
“VENGA IL TUO REGNO”: Che cose il Regno di Dio? Gesù lo rappresenta in vari modi, con varie parabole, la Chiesa invoca la venuta finale del Regno attraverso il ritorno di Cristo nella gloria. Il Regno del Padre e la fraternità dei figli. Quali sono i frutti di questo regno, che e già qui se lo vogliamo pregustare nell’attesa della sua venuta: Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza ,bontà, fedeltà, mitezza e libertà. È la fine di ogni schiavitù e ingiustizia, egoismi malvagità ecc.
“SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ”: La volontà di Dio, che è Padre, è la fraternità tra di noi che compie ogni giustizia.
La volontà e la facoltà di volere e di amare il bene, e la volontà che tutti gli uomini siano salvi, noi preghiamo il Padre che si unisca la nostra volontà alla volontà del Figli, unità alla Vergine e ai Santi.
“COME IN CIELO COSI IN TERRA”: L’amore che è in cielo tra il Padre e il Figlio, sia in terra tra gli uomini, e cosi siano fratelli tra di loro.
L’espressione terra conclude quella prima parte della preghiera e segna il passaggio alla seconda, il cui il cielo scende sulla terra come pane, perdono e vita filiale e fraterna. Ora dopo aver santificato e invocato il Padre adesso invochiamo il nostro bisogno di figli e ci impegniamo ad amarci ad perdonarci e a servire con gratuità.
“DACCI OGGI IN NOSTRO PANE QUODITIANO”: Se si fa caso anche questa innovazione che facciamo e in plurale, “dacci il nostro”, chiedo di darmi il pane per me e per i miei fratelli che sono sparsi nel mondo, perché e il pane del Padre che mi fa figlio e fratello di tutti, il pane è la vita, ma il nostro pane deve essere la sua Parola che si fa carne nell’amare i fratelli, è l’abbandono fiducioso dei figli nel Padre di cui mai ci abbandonerà.
“RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI”: Questa domanda che noi volgiamo ci permette di vivere come fratelli e di sentirlo come Padre. Analizziamo ogni parola:
“Rimetti” in greco è mandar via, allontanare. I nostri debiti che ci stanno addosso come peso e non ci lasciano respirare, ci libera da questi pesi il perdono, la carità, l’amore.
“A noi”: Come il chiedere il pane cosi chiedo per me e per tutti il perdono e la lontanza del male.
“I nostri debiti”: Il termine traduce una parola ebraica che significa debito o peccato. A Dio noi dobbiamo tutto quello che siamo e abbiamo, Gesù ci insegna ancora una volta a metterci dinanzi al Padre nella verità. Noi siamo fragili, poveri e peccatori, il Padre ci conosce e conosce queste nostre debolezze e ci accoglie, ma anche noi dobbiamo accogliere e capire quelle degli altri, il perdono lo si riceve quando lo si dà.
L’amore vive di dono e di perdono: sé nel bene e dono, nel male cresce il perdono. La salvezza e passare dalla logica del debito e della colpa a quella del peccato e del perdono.
“COME ANCHE NOI L’ABBIAMO RIMESSI AI NOSTRI DEBBITORI”: Si suppone che quando ci mettiamo dinanzi al Padre a chiedergli il perdono è perché già noi lo abbiamo dato al fratello e ci siamo ricongiunti e riconciliati, se non perdono non posso essere figlio! Il perdonare non è un dono che faccio a lui, ma che da lui ricevo: perdonando ricevo lo Spirito del Padre.
La misericordia entra nel nostro cuore solo se noi pure sappiamo perdonare cosi come fa il Padre verso di noi, perfino ai nostri nemici. Per questo il perdonare è il miracolo più grande che possiamo fare e donare, che fa resuscitare un morto: è nascere alla vita immortale.
“FA CHE NON ENTRIAMO IN TENTAZIONE”: Dio non tenta e non ci induce in tentazione, ci può metterci alla prova quando noi lo invochiamo e gli dedichiamo la nostra esistenza, è invece colui che ci da la forza di non cadere. Le tentazione fanno parte del nostro cammino, con la tentazione noi invochiamo il Padre, perché in essa diventa luogo di vittoria e non di sconfitta. Noi chiediamo a Dio di non lasciarci soli in balia del vento. Domandiamo allo Spirito di saper discernere, da una parte, fra la prova che fa crescere nel bene e la tentazione che conduce al peccato e alla morte, dall’altra parte, fra essere tentati e consentire alla tentazione.
Questa domanda al Padre ci consente di essere uniti al figlio che sconfigge la tentazione con la preghiera.
“MA LIBERACI DAL MALIGNO”: Quest’ultima domanda ci indica che colui che ci vuole dominare e il maligno, il male e satana, che ha come alleato le nostre passioni, debolezze e fragilità. L’opera di Dio e strapparci da essa e custodirci nel suo amore, solo con la preghiera incessante si può ottenere questo l’essere liberati dal male, il male si sconfigge con la carità, l’umiltà, l’amare, il perdonare.
San Francesco dove si situa in questa preghiera, sappiamo che ha fatto il commento al Padre nostro, ebbene per Francesco la preghiera del “Padre nostro” è un vero e proprio specchio di vita, è un programma di santità.
Francesco ci invita proprio ad amare e a vivere questa preghiera di Gesù. Francesco ha vissuto a pieno tutta la delizia di chiamare Dio “Padre nostro” e ci invita a chiamare anche noi Dio “Padre nostro”.

sabato 16 gennaio 2010

La Presenza di Maria nella mia vita "Sintesi"

Cenacolo Mariano

La “ Presenza di Maria nella mia anima”

Nota introduttiva di fr. Luciano

Oggi vogliamo parlare con l’aiuto di alcune “Testimonianze” come percepire la Sua presenz

a nella nostra anima, liberata da ogni forma di schiavitù del nostro vivere per noi stessi e per una vuota gratificazione del nostro fare.

Iniziamo a dire, sempre in linee generali, che e difficile spiegare con concetti accessibili di

re cosa prova veramente un’anima che vive Maria in se.

Maria non è soltanto la Madre mistica, che mi rigenera in Cristo facendo di me un membro del corpo mistico di Gesù, ma si sperimenta un qualcosa di molto più profondo e intimo in quelle anime che vivono lo Spirito di Maria e della sua presenza, non è un semplice devozionalismo o esibizionismo, ma è un vero e proprio incarnarsi e nutrirsi di Lei sotto i pie

di del Maestro, non dimentichiamo che e stata la prima discepola a seguirlo nell’umiltà e nascondimento.

Non si tratta certo di una presenza materiale e corporale di Maria, quale era possibile durante la sua vita. Ma l’esperienza mariana di cui parlano le fonti, è tutta spirituale. Presenza quindi spirituale. Prima di tutto c’è l’opera della grazia. Per stare nello stato di grazia occorre la docilità di ascolto, apertura di cuore, disponibilità ad accogliere la Parola.

Per concludere questa piccola introduzione diamo la parola ha un gran mariologo nostro confratello P. Ragazzini, che spiega: <<> della presenza di Maria nell’anima si vorrà spiegare attenendosi scrupolosamente agli schemi filosofici, razionali ecc…, forse non si sarà mai soddisfatti dei risultati raggiunti.

La Madonna, prima di agire in me, quindi di essermi presente come Corredentrice, Mediatrice, come Dispensatrice di grazie, diventa mia mamma e a suo modo, spiega P. Severino, è presente in me come mia mamma. Come mia mamma, mia ha dato la vita, la vita sopranaturale, la quale che mi è comunicata anche dalla sua pienezza di Madre :<>.

Concludiamo dicendo che e significativa la constatazione che più un’anima cresce in grazia, più si sente intima la presenza di Maria come sua Madre. Qui ci possiamo domandarci: Fino a che punto la Madonna è legata alla vita della grazia nella mia anima

sabato 9 gennaio 2010

Non c'è amore più grande che.....


Meditazione sulla lavanda dei piedi

Giovanni 13,1-3

Non c’è brano più bello e significativo di questo.

In questo brano si rivela chi è Gesù, ed il suo amore per noi.

Nella lavanda dei piedi a confronto degli altri evangelisti, l’evangelista Giovanni presenta l’istituzione dell’Eucarestia, a differenza dell’ultima cena, che in Giovanni non viene rappresentata, non c’è nel vangelo, ma e descritta nella lavanda dei piedi, non c’è la benedizione del pane e del vino, non ci dobbiamo dimenticare che l’Eucarestia e servizio, ringraziamento, dono per gli altri, e non poteva essere descritta meglio della lavanda dei piedi, e un andare incontro altro, farsi prossimo spontaneamente, l’Eucarestia viene narrata nella lavanda attraverso il servizio, il boccone a Giuda, che poi lì lava anche i piedi, con il perdono, perché Dio ama fino in fondo, fino alla fine con amore gratuito.

La lavanda dei piedi è il piegarsi sull’uomo del Signore, qui c’è la vera glorificazione del figlio e del Padre, la lavanda dei piedi non è una umiliazione o abbassamento o un mettersi sotto i piedi degli uomini, ma è un servire regale, questo è il vero scopo di Gesù, servire gli uomini, è l’umiltà di Dio che si fa servizio, che proviene dall’infinito amore verso gli uomini; qui Gesù si presenta e lo conferma di essere lui il Signore e Maestro, ma si presenta sotto la presenza di servitore; (La lavanda dei piedi nell’Antico testamento, in Israele non era un segno di disprezzo era si riservato al servo, ma era un segno di accoglienza, di rispetto, di cura, i piedi servono per camminare, seguire la via, poi si ci lavava i piedi perché erano pieni di polvere, non c’erano le scarpe, al massimo una specie di sandali), è importante capire che la lavanda dei piedi come l’ istituzione dell’Eucarestia, si intravede la glorificazione del Signore, non soltanto nei miracoli e nei prodigi che ha compiuto durante la sua vita, ma la sua più alta glorificazione è proprio la croce, e sulla croce che Gesù ha glorificato il Padre, l’apice della glorificazione e quella essere crocifisso, la vera natura di Gesù e il servire l’uomo, quanto ci viene chiesto di testimoniare la vita in Cristo troviamo sempre una scappatoia, siamo tutti come Pietro, “io ti seguirò fino in fondo”, ma al momento della prova cosa dice “io non conosco quell’uomo”, ma e proprio cosi noi quando siamo presi in un clima di fervore, di entusiasmo, di forte emozione siamo capaci di fare tutto, come Erode che si fece incantare dalla figlia di Erodiade e gli promise tutto, al momento della richiesta si turbò, è come può capitare durante gli esercizi spirituali, lì siamo capaci di fare tutto ma poi una volta finiti cosa succede? Gesù dice io vi ho dato l’esempio, chi vuole seguire Gesù deve essere il servo di tutti, si deve spogliare di se stesso, ecco il significato che si tolse le vesti e si cinge il grembiule, e la spogliazione di se stesso, cosi come sulla croce spogliato di tutto, e per fare questo dobbiamo passare proprio per il venerdì santo, per essere uomini nuovi risorti con Cristo a vita nuova, Francesco ci ha dato un esempio mirabile del suo rinnegare se stesso, andare incontro al lebbroso e lavargli i piedi, curare le ferite, forse non fa anche Gesù cosi con noi? Francesco con la lavanda dei piedi al lebbroso simboleggia proprio l’uomo nuovo, l’uomo che ama ogni fratello, l’uomo che oltre agli schemi del pensiero umano, è l’amore che ha scoperto amando Dio, che lo ama al di sopra di ogni altra cosa, che lo spinge ad andare incontro al fratello; invece noi siamo radicati nelle nostre passioni, nelle nostre logiche, non vogliamo staccarci da questi, invece l’uomo nuovo, la lavanda dei piedi, questo vuol significare andare verso l’altro con amore disinteressato, che non si condiziona per il suo stato e stile di vita, non è facile credetemi fare questo, Gesù che ci dice “Non c’è amore più grande di questo dare la vita per i propri amici”, è l’amore di Dio che ci nutre e ci travolge a fare queste scelte, e il risultato di una vita spesa solo ed esclusivamente per Dio, che ci fa donare con la propria vita per il fratello.

È in questo contesto che ci viene dato il comandamento nuovo, “Amatevi come io ho amato voi”, con quale amore ci ha amati Gesù? Io penso non riusciamo a pensare con quale grado di amore ci abbia potuto amare, perché il suo amore oltrepassa ogni confine, attraversa ogni logica, spalanca le porte di ogni cuore indurito, e quello che siamo chiamati a fare anche noi, andare incontro all’altro. Come possiamo concretizzare questo comandamento? Come attuarlo nella nostra povera vita? Ne saremo capaci di dare tanto amore come il Signore ha amato a noi? Non è facile, ma è possibile! Si può mettere in atto, nel difendere la vita, allontanare i propri interessi, eliminare l’odio, l’invidia, lo scandalo, come si attua nel essere costruttori di pace, ambasciatori di misericordia, donando il perdono reciproco, avere gesti caritatevoli, essere in soccorso al prossimo facendosi difensori, tutto questo e rinchiuso in questo testamento che ci ha lasciato Gesù, nella lavanda dei piedi, dandoci l’esempio e il comandamento di amarci con amore scambievole.

C’è lo conceda per intercessione della beata Maria vergine, eletta dal Padre celeste,che ci insegni Lei ad amare e a saperci donare attraverso la sua scuola di umiltà, di silenzio e di amore. Amen.

Fr. Luciano M.

giovedì 7 gennaio 2010

La Vita Spirituale

L’uomo spirituale.

L’uomo spirituale.

Parlare di spiritualità è innanzi tutto parlare dell’uomo spirituale varrebbe a dire l’uomo nuovo, cioè l’uomo rigenerato in Cristo che vive in Cristo.

L’uomo spirituale è, dunque, un tipo di uomo che non vive secondo la carne ma secondo lo spirito. Carne non vogliamo intendere il corpo, ma vuol indicare un modo totale non solo di essere uomo ma di vivere. Quindi un modo di : ragionare, di scegliere, di decidere, di comportarsi ecc…

Dire uomo spirituale significa dire un tipo di uomo e una fenomenologia.

La spiritualità ha un collegamento all’uomo spirituale e che direttamente dice a questa figura e a questa esperienza.

Ad esempio parlare di spiritualità francescana, ispirarsi a quel tipo di uomo spirituale qual stato Francesco divenendo propria esperienza, cioè vale a dire prendere il suo modo di vivere e di agire e assimilarlo alla propria esperienza e che la vogliono condividerla.

Sarebbe sbagliato partire dai francescani come istituzione per parlare di spiritualità francescana. Bisogna partire dall’uomo spirituale che fu Francesco, per capire il valore permanete nel quale ognuno di noi può trovarsi e ripartire e reinterpretare il proprio cammino spirituale.

L’uomo spirituale è l’uomo della libertà interiore, della libertà spirituale.

L’uomo, concretamente, non è un’entità, un’essenza, ma è situato tra Antico e Nuovo. Ognuno di noi e definito da questi due riferimenti; quando si parla di Antico intendiamo l’Adamo peccatore, che rifiuta, in qualche modo Dio.

Antico è l’essere peccatore ai diversi livelli, anche al di fuori di noi, quando si parla di peccato originale non si allude ad una esperienza, perché il peccato originale non può essere una esperienza; Come facciamo a riconoscere che tendiamo verso l’Adamo peccatore, attraverso gli atti di disobbedienza o rifiuti, ma lo possiamo riconoscere più in profondità li dove sappiamo riconoscere le radici dei nostri atti.

Invece l’uomo Nuovo e il riconoscersi in Gesù, l’Adamo nuovo, è l’essere dell’uomo che è come Cristo, è un passare da Adamo a Cristo, che conduce ad un’esistenza spirituale, cioè possibile dallo Spirito Santo effuso dal Cristo. La dialettica e continua. L’uomo spirituale si costruisce in questa dialettica, per questo la conversione non né solo di un’ istante, o come si suol dire che ci si e arrivati, è una logica sbagliata, quindi non è mai di un momento solo.

La conversione diventa un’ atteggiamento spirituale che non è mai di un momento, ma di tutta una vita,è un itinerario senza fine, un camminare continuo, che va dall’Antico al Nuovo, ogni giorno, con una dialettica continua.

L’uomo spirituale è l’uomo che vive delle virtù teologali, fede, speranza e carità.

L’uomo spirituale è l’uomo che vive in rapporto con la verità nella volontà di dimorarvi, di sapere la verità, il bene la giustizia, , in riferimento a una oggettività che non è riconosciuta come estranea, ma come principio di libertà. Cioè tutto ciò ci fa capire che l’uomo spirituale che vive la fede è colui che crede realmente ciò che Cristo è veramente qual figlio di Dio e lo professa con tutta la sua vita.

La fede di la forza di dire : questo e illusorio, , se non è vero secondo Gesù Cristo è la da la forza, la pace, l’ubbidienza è da il coraggio di dire: prendo i lineamenti di Cristo, Via, Verità e Vita. Questa, in fondo, e l’esperienza della fede. Questa è la grazia della fede.

L’esperienza monastica,, cosi centrato sulla Lection Divina, è un esempio più chiaro di questo modo di costruire l’uomo di fede. Abitare nella parola. Vuol dire vivere il rapporto soggettivo-oggettivo. Uomo- Cristo. Identificarsi con Cristo, la sequela,, l’imitazione di Cristo che traducono in atto , con formule diverse, l’atteggiamento fondamentale e tipico dell’uomo di fede.

L’uomo nuovo è secondo la speranza.

L’uomo nuovo è la speranza. Infatti, lo Spirito, prima che far fare all’uomo un atto di speranza, lo fa speranza, cioè che inizia nell’uomo qualcosa che nel disegno di Dio sarà potato a conclusione. Se ciò non e compiuto cioè non portato a termine potremmo essere solo noi a non portarlo a termine. Lo spirito ci è dato perché l’uomo raggiunga la conclusione cioè vale a dire la risurrezione, la piena libertà di figlio di Dio.

Allora l’uomo nuovo e speranza, l’uomo spirituale è speranza, esprime, vive, testimonia speranza. È già speranza, perché è un inizio che è garanzia del compimento.

L’uomo Spirituale è anche secondo carità. È colui al quale è comandato di amare come Cristo.

Non si tratta semplicemente di essere uomini per gli altri, ma di essere per gli altri come Cristo. Insomma non è possibile realizzare il Vangelo se non si e spinti ad incarnare e rassomigliare fino a interpretare la vita nella donazione di se stessi sull’esempio di Cristo che ha dato la sua vita per noi.

In principio non sta il comandamento, ma la carità che diventa la legge del cristiano. Infatti , la legge del cristiano è la carità e questo perché, prima di tutto, non c’è il comandamento, ma il dono.

Infine si può definire l’uomo spirituale, situato tra <> e <>, come l’uomo il cui cammino è cammino di tensione tra una dialettica di sapienze, di speranze, desideri e di amori.

Non possiamo dimenticare che la croce vera del cristiano è precisamente la croce dell’essere discepolo.

L’ascesi cristiana o è dolce, cioè piena di dolcezza perché vissuta nel primato della grazia, o non è cristiana.

sabato 2 gennaio 2010

L'umiltà

In che consiste l’umiltà?

Come possiamo attingere a questa grande virtù che a volte ci sembra cosi difficile da praticare anche se vediamo nei santi che la descrivono in maniera da poterla praticarla in un atteggiamento più o meno facile, ma ardua ai nostri occhi?

Percorriamo in maniera sintetica come la descrivono alcuni santi e come si distingue la vera umiltà di cuore, e l’umiltà della vanagloria.

Partiamo dai cinque gradi di umiltà di san Francesco di Sales:

Ä Il Primo Grado Dell’umiltà è:

la conoscenza di sé: che consiste nel conoscere le nostre povertà e miserie, ma non solo conoscerle ma anche riconoscerle c’è differenza fra queste, e cosa da poca fermarsi a conoscere solamente.

Ä Secondo Grado è proprio:

il riconoscere che significa dire e manifestare pubblicamente, ma va fatto sinceramente, non solo a parole, come si usa fare, a volte si ci comporta da falsi umili mentre si e gratificati quando ci lodano.

Ä Il Terzo Grado è:

di ammettere e confessare la nostra pochezza e obbiezione quando lo scoprono gli altri: cioè che diciamo con convinzione che siamo un buon a nulla, ma se c’è lo dicono la prendiamo a male, invece, lì dobbiamo dare ragione per essere un buon grado.

Ä Il Quarto Grado è:

amare il disprezzo e rallegrarsi quando veniamo abbassati e umiliati: dobbiamo essere convinti di questo e contenti.

Ä Il Quinto Grado:

è il più perfetto, ed il più alto grado di umiltà, non soltanto amare il disprezzo, ma desiderarlo, cercarlo e compiacersi per amore di Dio, e sono beati quelli che arrivano a questo livello.


Vediamo anche come un padre del deserto DORETEO dI GAZA come distingue le varie forme che ci possono essere dell’umiltà:

Dice Doroteo: due sono i tipi di umiltà, come anche due sono quelli della superbia.

Il primo genere di superbia è:

quando uno disprezzo e rende un nulla il fratello, e si ritiene superiore ad essi. Qui c’è il pericolo che sé non vigila subito su se stesso, succede che i suoi successi li reputa a se stesso ed esclude Dio, cosi giunge al secondo genere di superbia che si insuperbisce contro Dio.

Poi c’è una superbia mondana e una monastica.

F La prima è: quando si insuperbisce contro il fratello per le sue qualità o virtù;

F La seconda quella monastica è: quella vanagloria per quei sacrifici che fa come il digiuno o le veglie.

Accade pure che ci si umili per la gloria.

Dice Doroteo che se vogliamo essere superbi siamo superbi per le cose monastiche e non mondane.

Vediamo le due specie di umiltà:

F La prima consiste: nel considerare il proprio fratello più intelligente di noi stessi;

F La seconda è: di ascrivere tutti i successi a Dio.

Questa e l’ umiltà perfetta dei santi che nasce naturalmente dal cuore nel praticare i comandamenti.

Chiaramente dopo che Doroteo che ci ha illuminati sulle varie specie di umiltà ci avviniamo a comprenderla che cos’è questa umiltà e ci serviamo di un altro grande padre del deserto Giovanni Climaco, nella sua opera intitolata “LA SCALA”, Giovanni dice che chi lo vorrebbe spiegarlo a parole sembrerebbe difficile perché l’argomento e di grande intensità, quando alcuni di loro si radunarono per parlare su cosa vorrebbe dire umiltà ogni uno disse la sua, ma Giovanni non era soddisfatto delle risposte e cosi formulo la seguente definizione:

“L’umiltà è una grazia che si riceve nell’anima e di cui nessuno conosce il nome se non coloro che ne hanno fatto esperienza”; è il nome di Dio che e un suo dono: imparate da me - dice infatti- non da un angelo né da un uomo, cioè da me dalla mia inabitazione, dalla mia illuminazione e la mia energia presenti dentro di voi, poiché sono mite e umile di cuore, di pensiero e di spirito, e troverete ristoro dalle lotte e dai pensieri, per le vostre anime.

Arriviamo alla conclusione e vediamo l’importanza dell’umiltà e ci facciamo aiutare da Kolbe, che la descrive come fondamento necessario per ogni virtù, non si stancherà mai p. Kolbe di dire che l’umiltà sta alla base del progresso spirituale, nella lettera ai confratelli del Mungenzai no Sono dice: “Solo conoscendo meglio noi stessi, il nostro niente, e le n

ostre debolezze, possiamo disprezzare realmente noi stessi e desiderare che gli altri ci trattino come meritiamo”.

Per p. Kolbe l’umiltà e la conoscenza di noi stessi, più ci rendiamo conto di quel che

siamo, non che ci dobbiamo buttare ma rivolgere lo sguardo di gratitudine a Dio per tutto ciò che operiamo, per non dire l’esempio mirabile di frate Francesco che dell’umiltà ne fa uno stile di vita, infatti quanto dice che e il più vile di tutti ed il più piccolo di tutti, non lo dice per vanagloria ma lo dice convinto che veramente si sente piccolo, Francesco dice una grande verità, “l’uomo tanto vale davanti a Dio e niente più”, ecco i santi che più ci si avvicinano a Dio più ci si sentono indegni e peccatore; l’umiltà si incarna quando abbassiamo le difese del proprio “Io” e aumentiamo l’amore di Dio, e il desiderio di non essere nessuno per far regnare Dio nella nostra volontà, e non la nostra volontà che regna in noi.

Dice san Paolo : << Io diminuire e lui crescere>>.

venerdì 1 gennaio 2010

L'angolo della preghiera del frate: Chi ha fame e sete della Parola di Dio vieni e seguimi!

L'angolo della preghiera del frate: Chi ha fame e sete della Parola di Dio vieni e seguimi!

Un'esperienza in convento....

Penso che a tutti viene da dire ma come si vive in convento e cosa si fa in convento...














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Chi ha fame e sete della Parola di Dio vieni e seguimi!


Chi ha fame e sete della Parola di Dio vieni e seguimi!

IL COMANDAMENTO PIÙ GRANDE: AMA IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO.

Questo comandamento che ci viene proposto, perché Dio alla fine ci lascia sempre liberi di agire, non ci obbliga con forza a seguirlo, ma ci invita a seguirlo facendoci intravedere le realtà future del suo regno.

Perciò la sequela a Cristo, povero e crocifisso, si adempia nella gratuità e nell’amore reciproco, nella disponibilità generosa a distaccarci dalle vane cose del mondo.

Torniamo al nostro brano .

Gesù afferma con forza il primato dell’amore. L’amore vero, quello gratuito e senza interessi, puro e autentico, esiste solo se è libero e spontaneo, amare e l’andare incontro all’altro gratuitamente senza preconcetti. L’amore cresce e si sviluppa solo se cerca nuovi spazi: con l’ascolto, l’affetto, la meditazione, l’accoglienza, il farsi prossimo. Ecco qual è il maggior comandamento, quello prioritario.

Per sé il primato su ogni cosa dovrebbe spettare all’amore di Dio come Creatore e fonte di ogni bene, intenso come risposta a quell’amore originario e fondamentale, da cui scaturisce e in cui si placa ogni essere e ogni agire. Ma san Giovanni ci dice: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”: per lui l’amore stesso di Dio è esclusivamente mediato dall’amore del prossimo. Perciò siamo chiamati a intravedere, anche se a volte e difficile a vedere l’amore di Dio attraverso il prossimo

specialmente in quelle situazioni difficili.

Uno può amare solo se è amato. Altrimenti non sa che cos’è l’amore; ignora anche il presupposto dell’amore, che è quello di amare se stessi. Infatti ci si può amare solo se si sente oggetto di amore. Amare se stessi è la cosa più difficile: suppone di sentirsi amati incondizionatamente . perciò l’amore si misura dal proprio amarsi, come ci si ama cosi si riversa sull’altro.

Amarsi, accertarsi, donarsi, non e facile, amarsi presuppone di doversi accettarsi con i propri limiti, le proprie povertà, non nascondersi dietro a false apparenze, riconoscersi piccolo dinanzi a Dio, chiede di camminare insieme a.., ma chiede ancor più di accettare l’altro con la sua diversità, senza preconcetti, non aggredirlo, certo non e facile specialmente se ci sono state offese o rifiuti o danni gravi che portano ad allontanarli, ma bisogna amarli ugualmente, anche se non ci sono più rapporti.

Gesù inoltre ci ha mostrato in modo concreto e umano in che cosa consiste l’amor

e e come si realizza: nel servizio fedele ai fratelli fino alla morte, facendo agli altri tutto quanto vuoi che gli altri facciano a te. (cf. Mt. 7,12).

Perché l’amore e Dio. E in Dio termina anche l’amore del prossimo, che fa tornare l’uomo al suo principio, l’amore.

Lasciamoci conquistare dall’amore infinito di Dio, che ci plasma a immagine e somiglianza di lui, lasciamo tutte quelle cose che ci allontanano dal vero bene, attacchiamoci invece alla potenza della carità fraterna vincolo di santità e di giustizia, superando ogni diversità, ogni tribolazione, immergiamoci nell’oceano della miseri

cordia infinita di Dio.

Vi do un comandamento nuovo: <<>>.

Fr. Luciano